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Coronavirus e pari opportunità sul mercato del lavoro: la crisi colpisce di più le donne
Michela Morandini: “Con la crisi da coronavirus, calata la quota delle lavoratrici e diminuiti i relativi contratti a tempo indeterminato. La conciliazione lavoro-famiglia e la cura dei famigliari devono rientrare nel pacchetto di misure riguardanti l’economia”.
Nella Fase 2 dopo il lockdown si verifica molto di quanto era stato previsto da esperte ed esperti: le disparità sociali si intensificano e aumentano. Questo accade anche riguardo alle pari opportunità per donne e uomini, in particolare sul mercato del lavoro.
“Già prima della crisi da coronavirus, le pari opportunità lavorative non erano sempre garantite: quanto è successo negli ultimi mesi ha però riportato le donne indietro di decenni”, sostiene la Consigliera di parità Michela Morandini. Dal punto di vista sociale, è sempre stato considerato ovvio che il lavoro di cura e di gestione famigliare ricadesse sulle spalle delle donne, e con la chiusura - o la forte riduzione - delle offerte di assistenza, anche nella Fase 2 sono soprattutto le donne quelle che restano a casa: “Per le madri lavoratrici, questo significa rivestire contemporaneamente più ruoli: quelli di madre, educatrice, insegnante, lavoratrice. Questo onere multiplo è inaccettabile“, così Morandini, che specifica: “Lo strumento dello smartworking è da salutare con favore, tuttavia non può essere visto come LO strumento per la conciliazione di famiglia e lavoro. E deve essere utilizzato da entrambi i genitori, altrimenti l’uomo va al lavoro e la donna resta a casa con i bambini, “lavorando”. E così le donne “spariscono” dal posto di lavoro, non ricevono importanti informazioni informali, e tutto ciò fa sì che il loro ruolo di lavoratrici perda in attrattività”.
La conciliazione famiglia-lavoro continua a essere, principalmente, una sfida che riguarda le madri, e questo vale anche per i compiti di cura di famigliari, che pure ricadono in gran parte sulle donne. Questo risulta anche dai dati sui congedi famigliari straordinari richiesti: nella gran parte dei casi, le richiedenti sono madri. Una relazione recentemente pubblicata dall’organizzazione “Save the children” lo conferma, chiarendo che in Italia è ancora estremamente difficile coniugare gli impegni educativi e di cura con l’attività lavorativa. Chi deve far fronte a doveri famigliari è spesso obbligato a ridurre l’attività lavorativa, il che comporta anche riduzioni reddito, di contributi pensionistici e di possibilità di carriera. Come prima della pandemia da coronavirus, questo riguarda soprattutto le donne, che vedono così ridotta la loro partecipazione al mercato del lavoro. Sempre secondo Save the children, in Italia lavorano l’89,3% dei padri, ma solo il 57% delle madri. In Alto Adige, prima della pandemia la quota di donne lavoratrici era del 67,9 %, contro il 79,3% degli uomini. Tuttavia, non vanno considerati solo i dati quantitativi. Il più recente rapporto dell’Osservatorio sul mercato del lavoro conferma che le donne sono le più colpite dalle conseguenze della pandemia: da novembre 2019 ad aprile 2020, la quota delle lavoratrici è calata dell’1% (-953) rispetto all’anno precedente, e questo si deve allo sviluppo negativo degli ultimi due mesi nelle strutture ricettive, legato alle conseguenze della diffusione del coronavirus. Di conseguenza, l’occupazione a tempo determinato delle donne è calata del 13,3%, mentre è aumentata la quota di donne impegnate part-time (+101) ed è diminuito il numero di donne con un’occupazione a tempo pieno (- 1.054).
“I dati dimostrano chiaramente che la situazione delle donne sul mercato del lavoro è chiaramente peggiorata, e che il tema della conciliabilità pesa più che mai sulle loro spalle delle: un circolo vizioso con conseguenze pesanti per le donne”, commenta Morandini, secondo cui si dimostra una volta di più che la conciliazione tra famiglia e lavoro, come anche la cura di famigliari, non può restare un tema privato: “Esso deve essere considerato nel pacchetto di misure riguardanti l’economia, in accordo tra i partner sociali e le associazioni dei datori di lavoro”.
MC