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Pari opportunità lavorative in tempi di pandemia

Michela Morandini: “Agli applausi seguano la rivalutazione dei lavori di rilevanza sistemica e misure sostenibili di conciliazione famiglia-lavoro, altrimenti si faranno passi indietro”.

Nelle ultime settimane, la pandemia da coronavirus ha condizionato la nostra quotidianità, che si è giustamente adattata alla “modalità di crisi”. La vita sociale è stata ridotta al minimo e sono stati mantenuti solo i servizi essenziali, in uno stato d’emergenza che ha modificato la nostra percezione della realtà: quanto sostenibilmente, è da vedere.

Nella discussione attuale si parla molto di lavori di rilevanza sistemica, vale a dire quei lavori e quelle professioni indispensabili per il soddisfacimento dei bisogni sociali di base: tra questi, per esempio, le professioni sanitarie, quelle di cura e in ambito sociale, nella produzione e fornitura di alimentari, nel settore delle infrastrutture dei trasporti e dell’informatica. La società ha riconosciuto che non è possibile farne a meno, dimostrandolo anche con gli applausi dal balcone, i cartelli con scritte di ringraziamento, il riconoscimento pubblico da parte di responsabili politici e politiche: un riconoscimento opportuno e necessario per tutti e tutte coloro che in questa situazione d’emergenza si trovano a operare in prima linea, esposti a un rischio aggiuntivo. Ma non basta: a questo riconoscimento dovranno seguire, in una fase successiva, concreti interventi e misure, dato che la gran parte delle professioni di rilevanza sistemica è caratterizzata, al di là dei tempi di crisi, da retribuzioni al di sotto della media e ridotto riconoscimento sociale. Il 75% di queste professioni, che spesso sono lavori di cura, sono svolte da donne.

Studi scientifici hanno dimostrato che le disparità si accentuano in situazioni d’eccezione e di crisi: così, una pandemia aumenta disparità già esistenti. Ed ecco che assistendo all’attuale discussione sul pacchetto di misure da mettere in atto, si ha la sensazione che gran parte di esse siano a servizio dell’economia. Se si considera l’economia come parte del sistema sociale e non come sistema stesso, deve anche saltare agli occhi che l’agire economico è possibile solo se tutte le parti del sistema hanno lo stesso valore. Forse dipende dal fatto che le professioni di rilevanza sistemica svolte per lo più da donne sono recepite come servizi ovvi e scontati, e che alcuni dei rispettivi gruppi professionali non hanno lobbies forti che combattono per i loro diritti. E proprio qui sta una delle sfide più grandi: di ogni misura che sarà elaborata prossimamente, è necessario considerare gli effetti in tutti gli ambiti sociali, valutando che interventi per l'efficienza dell'economia possono avere effetti negativi sull’uguaglianza di genere, così come sulla conciliabilità famiglia-lavoro. Dopo la prima fase, molte coppie dovranno prendere nei prossimi mesi decisioni fondamentali per garantire l’assistenza e la cura dei figli e di altri componenti della famiglia: a fronte del fatto che anche in Alto Adige sono le donne quelle più coinvolte da rapporti di lavoro precari e meno rappresentate in ruoli decisionali e dirigenziali, e che esse percepiscono in media, in Alto Adige, retribuzioni inferiori del 16,9%, è presumibile che saranno soprattutto le madri, o le figlie, a restare a casa per occuparsi dell’assistenza di bambini e parenti bisognosi di cure. Senza efficienti misure di assistenza all’infanzia, molte donne dovranno quindi restare a casa, e cosa questo significhi per le loro opportunità sul mercato del lavoro non deve certo essere spiegato… con tanti saluti dal modello di famiglia anni ’50!

Sta quindi a coloro che prendono le decisioni politiche la responsabilità di sviluppare un pacchetto di misure che consideri le conseguenze ad ampio raggio e per tutti i gruppi sociali: questo però è possibile solo se esperti ed esperte in vari ambiti saranno coinvolti anche nell’elaborazione di provvedimenti e nei processi decisionali.

CP

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